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venerdì 21 gennaio 2022

 

Perché dimentichiamo alcune cose (ed altre no)

Secondo i ricercatori, l’oblio non è legato alla perdita della memoria, ma a un processo che ci induce ad avere comportamenti più flessibili e una migliore capacità decisionale

Per ogni avvenimento che viviamo nella nostra vita, il cervello crea e registra due ricordi distinti. Il primo serve per rievocare quell’evento nell’immediato, l’altro per rievocarlo a lungo termine. Quindi, per ogni evento vissuto, il cervello crea una traccia che viene definita “ricordo a breve a termine” che svanisce nel giro di pochi giorni, e una seconda traccia definita “ricordo a lungo termine” che può essere rievocata in qualsiasi momento. Sappiamo, quindi, che la memoria a lungo termine si occupa di immagazzinare, amministrare, e richiamare informazioni, e non ha limiti di capienza, ma ancora non è chiaro come i ricordi vengano recuperati. Pare che il recupero avvenga attraverso la riattivazione di uno schema unico di cellule nervose creato durante l’immagazzinamento.

Ad approfondire il tema del ricordo, nell’ambito del Programma Child & Brain Development, sono stati due ricercatori, il dott. Tomás Ryan, professore associato presso la Scuola di Biochimica e Immunologia e dal Trinity College Institute of Neuroscience del Trinity College di Dublino, e il dott. Paul Frankland, professore presso il Dipartimento di Psicologia dell'Università di Toronto, entrambi membri dell'organizzazione di ricerca globale canadese CIFAR. I due scienziati hanno elaborato una nuova teoria, pubblicata su Nature Review Neuroscience, secondo la quale la capacità di dimenticare, l’oblio, non è un’abilità negativa, ma rappresenta una forma di apprendimento.

La memoria e le cellule engram

Secondo gli scienziati, i ricordi vengono immagazzinati in insiemi di neuroni, chiamati “cellule engram” (si tratta della memoria potenzialmente recuperabile nel cervello). Queste cellule si dividono in accessibili (vengono riattivate da segnali di richiamo naturale) o inaccessibili (non vengono riattivate). L’oblio, ovvero la dimenticanza più o meno duratura di un ricordo, si verificherebbe quando queste cellule engram non possono essere riattivate (ricordi inaccessibili).

“I ricordi stessi sono ancora lì - dicono i ricercatori -, ma se gli insiemi specifici non possono essere attivati, non possono essere richiamati. E' come se le memorie fossero conservate in una cassaforte, ma non si ricorda il codice per sbloccarla”.

La riattivazione dei ricordi

Cosa determina la riattivazione di un ricordo? La capacità di riattivarlo o meno dipenderebbe, secondo la nuova teoria, dai feedback ambientali e dalla loro prevedibilità. Si tratterebbe di una caratteristica funzionale del cervello che gli consentirebbe di interagire dinamicamente con l’ambiente esterno e adeguarsi velocemente ad esso. In un mondo che cambia continuamente, dimenticare alcuni ricordi può risultare molto utile poiché ci porta ad avere comportamenti meno rigidi e più flessibili, e, quindi, un migliore processo decisionale. Se i ricordi sono stati acquisiti in circostanze che non sono rilevanti per il contesto ambientale che ci circonda, dimenticarli può essere una cosa positiva che migliora la nostra vita.

“Tutte le forme di oblio - hanno detto i ricercatori - coinvolgano il rimodellamento del circuito che modifica lo stato delle cellule engram da accessibile (possono essere riattivate da segnali di richiamo naturale) a inaccessibile (non possono essere riattivate). In molti casi i tassi di dimenticanza sono modulati dalle condizioni ambientali, e pertanto crediamo che la dimenticanza sia una forma di neuroplasticità che altera l'accessibilità delle cellule engram in funzione del contesto ambientale del momento”.

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L’oblio è legato a un accesso alla memoria, non a una sua perdita

Sino ad ora abbiamo sempre considerato l'oblio come una perdita di informazioni, ma numerose e recenti ricerche suggeriscono che, almeno in alcuni casi, l'oblio è dovuto a un accesso alterato alla memoria piuttosto che alla perdita di essa. “Secondo la nostra nuova teoria - ha dichiarato il dott. Ryan - l'oblio è dovuto al rimodellamento del circuito che trasforma lo stato delle cellule engram da accessibile a a inaccessibile. E, poiché il tasso di oblio è influenzato dalle condizioni ambientali, crediamo che dimenticare sia in realtà una forma di apprendimento che altera l'accessibilità della memoria in linea con il contesto ambientale e con quanto questo sia prevedibile”.

Quando è la malattia a generare l’oblio

Ci sono molti modi in cui il nostro cervello dimentica, ma tutti agiscono per rendere l'engram - l'incarnazione fisica di un ricordo - più difficile da accedere. A proposito dell'oblio patologico, come conseguenza di una malattia, il dottor Ryan e il dottor Frankland hanno aggiunto che "l’'oblio naturale’, di cui abbiamo parlato sino ad ora, è reversibile in determinate circostanze e che negli stati patologici, come ad esempio nelle persone che hanno il morbo di Alzheimer, questi meccanismi naturali del ricordo siano dirottati, con una conseguente ridotta accessibilità delle cellule engram e perdita di memoria”.

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